Pur essendo poche, le ore di Horta tirano fuori il loro filtro ammaliatore.
L'atmosfera è ora tersa, ora brumosa, le luci ora sorgenti, ora calanti, i colori cambiano lentamente cosi' come il loro spettacolo che non annoia, non stanca mai ma non eccita, non scatena. Come una culla, o una fumeria d'oppio (di cui ahimé ho solo reminiscenze letterarie).
L'aria sembra vischiosa, ci si muove con più fatica, tutto spinge (o tira?) all'immobilismo, alla statica, a un oppiaceo bearsi in un'atmisfera che cambia micrometricamente.
Ci si sveglia, "mi alzo", passano un po' di minuti "ok ora mi alzo", dopo un quarto d'ora "ok adesso davvero mi alzo", e passa il tempo, incollati alla cuccetta.
"Andiamo a mangiare", "dai si' andiamo a mangiare" si ripete a turno per dieci, venti trenta minuti, seduti in coperta chi con il pacco dei panni sporchi (arrivato al dodicesimo si' si' ora davvero vado a lavarli) chi con in mano un'impiombatura a metà fatta, chi con una cima a metà fatta su, chi con un serbatoio a metà pieno.
E' tutto "a metà", enorme sforzo per cominciare a fare qualcosa, poi Horta l'oppiacea prende il sopravvento e ci si ferma a metà, ora finisco, si' si davvero.
Partenza, lasciamo l'ormeggio, verso il molo del gasolio. Serbatoi pieni a metà, basta guardare la pistola del distributore e per magia riusciamo a riempirli tutti. Un po' di girotondi nella rada per buttar su il genoa, è su a metà, ma li' altro che Horta è lui a stroncare di fatica, due persone ai coffe grinder *esauste* alla fine dell'issata.
Prua fuori.
Nessuno si gira per guardare indietro l'isola che si allontana. Paura dell'oppio, Ulisse che dimentica Itaca, gli SMS che non passano più; fra quante miglia siamo a metà ?
26 mag 2015
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1 commento:
bellissimo questo resoconto:)
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