31 ago 2010

Gran Canaria, Canarie, bof bof...

Mah, che dire di queste isole?
Da un po' che ci siamo (obiettivamente è poco quindi ci sfuggiranno un sacco di aspetti positivi) ed è difficile trovare un motivo per restarci, a parte essere in transito per altrove.
Almeno per come navighiamo noi, impossibile trovare un ancoraggio che non sia una lavatrice durante la notte, i porti ok carini ma restano porti, a quel punto ci piacciono quasi più i porti pescherecci marocchini, in linea di massima si ha un po' l'impressione di essere su un'area di servizio in autostrada. 

Il bello è che da due settimane quando siamo in mare non abbiamo visto una dico una barca.

O9ra a Las Palmas per quelche giorno, il motore ha fatto un po' di bizze: ogni tanto il carter dell'olio si riempie di gasolio (i lettori ricorderanno di un anno e mezzo fa), ma praticamente mai in funzionamento, solo a motore fermo a lungo.
Il Branca si lamenta di stare fermo.
Addirittura chiudendo il rubinetto del serbatoio di gasolio, il carter si riempie, a motore fermo.

E smonta e rimonta e prova e riprova, penso sia un sifonaggio del ritorno del gasolio (che pesca dentro al serbatoio, provato a soffiare e fa bollicnie) verso la pompa di iniezione, con trafilaggio verso il carter di distribuzione e poi quello dell'olio.
Insomma, risultato per ora è che ogni volta che usiamo il motore bisogna cambiare tutto l'olio, si riparte e non si sa quanto duri, magari un'ora prima di rivedere la pressione d'olio a 0.5, magari 5 minuti.

Ieri arrivo a Las Palmas, per fortuna il porto è grandino e dopo aver fatto un  paio di girotondi per far passare un traghetto e una nave in uscita, ci siamo messi a fare bordi dentro per avvicinarsi all'entrata del marina, bordi a 4 nodi per i puristi ah ah ha, alla fine-fine acceso il motore per approfittare dei cinque minuti prima che suonasse l'allarme della pressione d'olio.
Personale gentilissimo, addirittura un paio di altre barche italiane (le prime mai viste sino a ora).
Porto utile soprattutto per le riparazioni e per diversi negozi dova rifornirsi di cose di base, ma forse non proprio il nostro preferito.
Anzi, sicuramente non il mio preferito, per daphne e le figlie forse è diverso, anzi si divertono un sacco.


30 ago 2010

Pannelli solari, qualche misura

Oddio, un po' più "tecnica", tanto per dare qualche spunto di riflessione.

Contrariamente a quanto talvolta espresso da venditori sovrentusiasti di pannelli, la quantità di carica giornaliera prodotta da un pannello in barca non ha nulla a che vedere con il discorso tipico "pannello da 120W, quindi 120/12=10 ampere, moltiplicato dieci ore di sole uguale 100 Ah al giorno".
Magari.
Su heo c'è stata una bella statistica fatta sulle produzioni effettive di chi ha pannelli solari in barca, insolazioni dal mediterraneo alle antille alla reunion (buone per gli arrosti).
In media, per 100W nominali istallati in modo "bruto" (vedi dopo) vengono prodotti fra 35 e 40Ah al giorno.
La produzione sarà probabilmente distribuita cosi' durante il giorno:

5-6 A dalle 1000 solari alle 1400 solari
2-2.5 A nei periodi 0900-1000 e 1400-1500
1 A periodo 0700-0900 e 1500-1700

combinate un po' come volete, si ricade nei 35/40Ah/giorno/100W nominali che vengono fuori dal sondaggio.


Inclinazione
Un primo miglioramento significativo viene dato dall'inclinazione del pannello, in particolare nelle ore mattinali o serali.
Sul Branca, con un misuratore di carica efficiente si osserva facilmente fra 1.5 e 3 volte la corrente prodotta istantaneamente, a seconda dell'ora e  dell'orientazione della barca (e delle frequenza con cui si orientano i pannelli).
In media, un'inclinazione "corretta" aggiunge un 20% alla carica prodotta quotidianamente dai pannelli; il risultato è in linea con la media delle esperienze raccontate su Heo.


Seconda considerazione, il regolatore.
In barca sono usati essenzialmente due tipi di regolatori, i PWM e gli MPPT.
Se si prende per esempio un pannello a 170W dati a 17 volt nominali (10A nominali), un regolatore PWM prende i 10A e li somministra a 13volt circa, quindi butta fuori 130W rispetto ai 170W nominali, 40W di perdita...
Un regolatore MPPT invece ottimizza lo sfruttamento della potenza disponibile nel pannello, lavorando essenzialmente come un convertitore CC-CC e inviando nella batteria il maggior numero di ampere possibile, che è poi cio' che conta. Il guadagno rispetto ad un regolatore PWM è variabile, ma consistente: puo' essere +10-15% in estate sotto il pieno sole, quando i pannelli regolatore o non regolatore lavorano comunque in condizioni semiottimali; puo' essere di +30-40% quando invece i pannelli hanno un ambiente difficile (inverno, foschia, ecc).
Diciamo 20%, tanto per continuare il discorso.
Unico neo un regolatore MPPT costa come un pannello in più (tipicamente 150-300 euro, rispetto ai PWM che costano qualche decina di euro), o ognuno di fare le^proprie considerazioni se vuole aggiungere un pannello in più o un regolatore più efficiente.


Insomma sul Branca ho 180W di pannelli: potrei in teoria aspettarmi fra i 60 e 70Ah al giorno, con il regolatore MPPT fra i 70 e 80 Ah al giorno (visto che siamo al sole), inclinando la mattina e il pomeriggio i pannelli raggiungere gli 80-90Ah al giorno (di piena insolazione, senza ombrette di nuvole o della manica a vento del paterazzo).
Alla prova dei fatti (tre mesi di prove e misure), siamo li'.


Terza considerazione pero': la capacità delle batterie, o l'intervallo di scarica di utilizzo.
Se si ha una batteria poco scarica, o poca capacità totale relativa alla potenza dei pannelli istallata, che succede: il pannello comincia a produrre, al massimo la mattina a mezzogiorno avrà caricato il 30-40% della carica potenzialmente fornibile nel giorno, pero' toh interverrà il regolatore che lo metterà in fase di assorbimento o mantenimento, quindi darà magari solo 1-2A per il resto del giorno, senza mai caricare completamente la batteria.
Se invece si ha una batteria molto scarica, o un banco con capacità relativamente maggiore, la tensione della batteria crescerà meno nel corso della giornata, il pannello potrà inviare tutta la carica di cui è capace per tutto il giorno e si recupererà molta più carica.
Insomma, per poter trarre dal pannello la carica che è capace di dare, bisognerebbe far lavorare le batterie -molto largo circa, a ognuno di farsi i suoi conti- fra 50-60% di scarica e 80% di scarica, in modo che tale carica equivalga la carica potenziale del pannello. Grooooossi banchi di batteria.

Da un altro punto di vista, sarebbe meglio avere due batterie servizi da far lavorare alternativamente fra 60% e 80% scarico, isolandone e caricandone una col pannello un giorno mentre si usa l'altra, e viceversa, piuttosto che avere un banco scarico all'80% che il pannello non sarà mai in grado di caricare al massimo a causa del regolatore (in sostanza facendo perdere W acquistati).

Sul Branca è esattamente cosi', l'equilibrio si trova dopo un po' di giorni senza ricaricare le batterie (né motore né 220 banchina): i pannelli non ricaricano completamente il primo giorno (il regolatore taglia la produzione), né il secondo, il terzo quarto (all'ingrosso) quando le batterie sono più scariche buttano fuori tutta la carica di cui sono capaci.
E noi ci stiamo con i consumi! evviva!


Abbiamo comparato il regolatore MPPT con un regolatore PWM di un'altra barca (che aveva il doppio di pannelli, 350W), e in effetti con tempo nuvoloso, o con la foschia umida mattinale, i pannelli regolati MPPT producono 20-40% in più (sempre meno rispetto a una giornata di pieno sole, ma l'MPPT almeno tira fuori qualcosa in più dai pannelli).

24 ago 2010

Vicini del branca..

Stamattina arriva una barca un po' vecchio stile, anche se tutta di plastica


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Guarda e guarda, guarda che bandiera:

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Mister Yun (o Yoon, o Youn, o Yunh, chiedendo scusa per l'ortografia), partito dalla Corea in solo, oceano indiano, mediterraneo, Rabat poi qui, ancora non ha deciso se passare da Panàma o Patagonìa (l'accento sulla "i" non si v ede ma c'è e sembra proprio adatto, per quel che mi riguarda) per tornare in Corea.

Magari seguiamo la stessa rotta, ma forse no, cosa c'è in Brasile, izzz betta ajentinaaaa, izzz betta panaaaama; ci si guarda sorridendo reciprocamente ai propri accenti ah ah ah

Dernière escale marocaine

Nous avons poursuivi notre périple en longeant la côté marocaine, toujours amarrés dans des ports de pêche et ce jusqu'à Agadir, notre dernière escale avant la traversée vers les îles Canaries. Agadir, station balnéaire pour jeunesse marocaine dorée offre en ce qui nous concerne peu d'intérêt si ce n'est le fait de disposer d'une marina récente et de nous permettre de remettre Brancaleone en conditions décentes.
La fréquentation prolongée et assidue de ports de pêche a laissé des traces visuelles ainsi que olfactives. Tout à bord sent le poisson (nous aussi peut-être.. ???). Quand nous ouvrons le coffre pour sortir nos bouts d'amarrage c'est à tomber à la renverse tellement l'odeur est prenante. De plus il nous a fallu lessiver tout l'extérieur du bateau car suite à des pluies orageuses en provenance directes du désert prises à Essaouira, tout Brancaleone a été  recouvert d'un voile de sable rouge qui, mélangé à l'eau de pluie s'est transformé en pâte adhésive.
Je pense aussi que je vais attendre quelques temps avant de remanger du poisson, j'en ai trop vu et trop senti l'odeur (si au moins cela avait été des poissons pris par nos lignes…). Dès le matin, au réveil, si par malheur nous étions sous le vent comme ce fut le cas à El Jadida, toutes les odeurs du marché à la criée venaient se mélanger et prendre l'ascendant sur l'odeur de mon café et réduisant à néant toute velléité d'ingestion de petit déjeuner.   
Aussi, malgré le peu d'intérêt touristique d'Agadir, nous y passons 3 jours dont 2 consacrés exclusivement au nettoyage et à la préparation de la traversée. Le troisième jour nous n'avons absolument rien pu faire. Une chaleur insupportable s'est abattue sur la ville. Le thermomètre est monté jusqu'à 45°C et un vent brulant provenant du désert s'est mis à souffler par rafales asséchant tout sur son passage. Ajouter à cela, le premier jour du Ramadan et l'activité suspendue jusqu'à la rupture du jeûne en soirée, nous n'avons donc pas un endroit pour emmener les filles se rafraichir (restaurant, bar…. un endroit avec l'air conditionné !!!!). Nous souffrons en patience, cloitrés à l'intérieur du bateau, sortant épisodiquement pour s'asperger avec le tuyau d'arrosage, mais même l'eau qui en sort est trop chaude ! Le mécanicien venu la veille pour réparer une petite anomalie du moteur passe pour recevoir son dû, il a pitié des filles et leur rapporte un énorme pot de glace à la vanille. En moins de temps qu'il n'en faut pour sortir des cuillères, la glace est devenue crème.

23 ago 2010

La gentillesse marocaine

Nous longeons la côte tranquillement en navigant entre 60 à 100 milles par étape, (ce qui  représente des journées allant entre de 10 et 14 heures de navigation donc bien pleines). Malheureusement peu de vent et beaucoup de moteur, peu de poisson (1 seul et unique poisson, voir « SA»  photo sur le blog, pêché durant nos 3 semaines de navigation dans des eaux pourtant réputées des plus riches) et beaucoup de salade de riz, boulgour, ou de pâte. De toutes les façons, entre les grosses chaleurs et les navigations houleuses l'appétit à bord est très limité.
Mais par contre beaucoup de gentillesse partout où nous sommes allés. Pas un endroit où nous n'ayons été accueillis avec de grands sourires. Bon, il est vrai aussi que nous disposons de 2 mascottes à bord : nos petites têtes blondes. Il faut croire que toucher des cheveux blonds au Maroc doit porter bonheur, car il n'est pas rare quand nous nous promenons de voir des marocains rire à la vision des cheveux bouclés et en bataille de Tea quand ils ne cherchent pas à les toucher comme s'ils voulaient contrôler leur véracité. Grand succès aussi auprès des officiers de la douane ou de la gendarmerie qui avant de voir le modèle en vrai ont seulement consulté la photo sur son passeport, datant de quand elle avait seulement 3 mois. Une fois à terre, la première question était « alors, elle est où Tea ? (prononcé, « Tia ») et de la prendre dans leurs bras en rigolant.
Quand pour descendre de notre bateau et nous rendre à terre, il nous fallait escalader les chalutiers auxquels nous étions amarrés, il y avait toujours un ou deux pêcheurs pour interrompre son travail de réparation de filets, venir nous prêter main forte et hisser nos filles jusqu'au niveau du quai. Tea et surtout Bora, plutôt sauvages dans leur vie antérieure, n'ont jamais protesté, se sentant en confiance, elles se laissaient porter en rigolant, alors que moi je fermais les yeux pendant qu'elles étaient suspendues dans ces bras inconnus au dessus du vide ou de l'eau. 
Dans les restaurants ou lieux publiques où nous nous rendons, alors nous exigeons d'elles qu'elles se tiennent correctement sans courir et gêner les gens autour, c'est le patron ou d'autres clients qui en appelaient à notre clémence en nous disant de les laisser faire, que ce ne sont que des enfants. C'est donc pour eux normal, voire même un spectacle plaisant à en croire les regards plein de compréhension et d'indulgence qu'ils portent sur elles. Voilà bien de quoi nous mettre à l'aise et nous ôter tout complexe en matière d'éducation.   

22 ago 2010

Bel casino

Cerchiamo di tornare in Italia per un paio di settimane, per portare le bambine per il fine estate dai nonni, il che significa trovare un posto dove lasciare la barca due settimane a settembre,  un sacco di marina non accettano prenotazioni tocca andare li' e veder che succede (non la più praicaq delle ipotesi dovendo prenotare anche dei voli), possibilmente un posto con un meccanico capace per guardare due cosette sul motore, possibilmente un posto dove al ritorno non si trovi la barca scassinata (eventualità diventata ultimamente abbastanza frequente), trovare un volo AR al di sotto di 1500 euro/persona, sapendo che si puo' partire da un sacco di isole diverse per arrivare in varî aeroporti italiani.
Per una volta, i Piloti non aiutano per niente, pur avendo tutti gli aggiornamenti, le informazioni di prima mano sono molto spesso radicalmente diverse da quanto si trova scritto, raccapezzarsi fa un po' ridere sembra tanto valga partire e vedere direttamente cosa c'è in loco.

Nel frattempo, tempo incredibile (vento e sole, stile Grecia), porti fatti molto bene, solo isole con pochi ancoraggi stile Eolie quindi tocca abituarsi un po', ma si capisce come ci sia gente che non ne parte più.

Continuiamo a cercare un posto pr un paio di settimane

19 ago 2010

Un po' di comare, va'

Una delle consuetudini fra equipaggi che parlano la stessa lingua è quella dello scambio dei libri.
Ah tenete, abbiamo questo e questo, che libri avete voi ?

Molti uffici dei porti hanno un angoletto simile, una bacheca dove ci sono libri che possono essere presi e portati via, con il tacito impegno di sostituire ogni libro preso con un altro, una specie di baratto-center delle giovani marmotte.

Sarebbe anche un'idea carina, ma urca si direbbe che i gusti letterari moderni vadano in una direzione ben specifica.
Ci è stato offerto:
"Il pianto di Mariolina dopo essersi accorta che Antonio la tradisce"
"Io, lei, l'altro"
"Lo strangolatore di topi e i gatti che gli rubano il lavoro"
"All'ombra del castagno nascevano i porcini"
"Galli, polli, faraone, quaglie e tacchini nell'economia avicola dell'Aveyron".
Potremmo prenderli tutti, aprire un banchetto alla stazione FS di Amberiago e venderli tutti in dieci minuti.

Potevamo proporre come scambio un "Aujourd'hui maman est morte. Ou peut-être hier, je ne sais pas", farà altrettanto ridere ma bon, si è meritato un Nobel quindi a chi vuoi che piaccia; oppure "i viaggi di Ibn Battuta", edizione araba antica scovata grazie ai consigli di Andrea eminente arabista, grazie al cielo con traduzione a fianco, oppure l'ultima edizione di una bellissima guida di viaggio delle Canarie:

"Queste isole di Canaria sono sette: quattro abitate da cristiani, cioè Lanzarotta, Forte Ventura, la Gomera e il Ferro; tre sono de idolatri, cioè la Gran Canaria, Teneriffe, la Palma.
Non hanno vini né formenti, se d’altre parti non ve n’è portato; pochi frutti, né quasi niuna altra cosa buona hanno.
Gli abitanti di queste quattro isole soggette a’ cristiani sono canarii, e sono differenti di linguaggio e poco s’intende l’un con l’altro; le quali isole non hanno alcuno luogo murato, salvo villaggi, ma hanno ridotti nelle montagne, per esser quelle altissime, e passi molto forti, che tutto il mondo non gli pigliaria salvo che per assedio.
Le altre tre, abitate da idolatri, sono maggiori e molto meglio abitate, e spezialmente due, cioè la Gran Canaria, che fa da circa otto in novemila anime, e Teneriffe, che è maggior di tutte tre, che si dice aver da quattordici in quindecimila anime; la Palma fa poca gente, è bellissima isola a vedere. Le qual tre isole, per esser abitate da molta gente da difesa, con montagne altissime e luoghi pericolosi, quali sono forti, non si hanno mai potuto subiugar da’ cristiani. De Tenariffe, che è la piú abitata, è da farne menzione, che è una delle piú alte isole del mondo, e vedesi con tempo chiaro un grandissimo cammino.
... e fanno alle volte fra loro guerre, ammazzandosi come bestie. Non hanno altre armi che pietre e mazze a modo di dardi, e alla punta mettono un corno aguzzo in luogo di ferro; le altre che non hanno corno sono abbruciate nella punta, e fassi quel legno duro come ferro, e con quello offendono. Vanno sempre nudi, salvo che alcuni pur si mettono certe pelli di capra, una davanti l’altra di drieto; e ungonsi la carne di sevo di becco composto con sugo d’alcune loro erbe, che ingrossa la pelle e defende dal freddo, benché poco freddo regni in quelle parti, per esser verso l’ostro. Non hanno case di muro né di paglia: stanno in grotte o sia in caverne di montagne. Vivono d’orzo e di carne e latte di capra, di che ne hanno abbondanzia, e di alcuni frutti, spezialmente di fichi; e per esser il paese molto caldo, raccolgono le sue biade del mese di marzo e d’aprile. Non hanno fede, ma adorano alcuni il sole, altri la luna e altri pianeti, e hanno nuove fantasie di idolatria. Le femmine sue non sono communi, ma a ciascuno è lecito pigliarne quante vuole; e non torriano femmine vergini se prima non dormissero col signor suo una notte, e questo lo reputano grande onore.

E se mi fusse detto come si sa queste cose, rispondo che gli abitanti delle quattro isole de’ cristiani hanno per costume, con alcune loro fuste, andar ad assaltar queste isole di notte per pigliar di questi Canarii idolatri, e alle volte ne prendono maschi e femmine e li mandano in Spagna a vendere per schiavi. E intraviene che alle fiate rimangono presi alcuni delle fuste, i quali detti Canarii non fanno morire, ma fannoli ammazzar capre e scorticarle e far carne, che tengono per vilissimo officio, e per dispregiarli, e li fanno far fino a tanto che si possino scodere. Hanno detti Canarii un’altra usanza, che quando li signori suoi entrano nuovamente nella signoria, alcuno si offerisce voler morire per onorar la festa. E vengono tutti ad una certa valle profonda, dove, dapoi fatte certe sue cerimonie e dette alcune parole, quel tale che vuol morire per amor del signore si getta giuso in quella gran valle e fassi in pezzi: e dipoi quel signore riman obligato a far grandissimo onore e beneficio alli parenti del morto. Questo costume brutto e bestiale vien detto esser cosí, e li cristiani che sono scossi di preson l’affermano.
Ancora questi Canarii sono uomini sutti e gran corridori e saltatori, per esser avezzi in quei brichi di quelle isole piene di montagne: e saltan di sasso in sasso discalzi come caprioli, e fanno salti che non sono da credere. Ancora tirano dretto e fortemente una pietra, sí che percuotono dove vogliono, e hanno sí fatto braccio che a pochi colpi fanno uno scudo in mille pezzi. Dinotandovi che io viddi un Canario cristiano nell’isola di Madera, che si obbligava a pegno dare a tre uomini dodici naranzi a cadauno, e lui ne voleva prendere altri dodici, e si obbligava ferir cadauno di loro con li suoi dodici naranzi, in modo che niuno anderia a fallo e che mai alcun di loro non lo toccaria con alcuno delli suoi, salvo che nelle mani per volersi con quelle riparare, e che non si approssimassero a lui ad otto o vero dieci passa: e non si trovò chi volesse stare al pegno, perché ciascuno cognosceva che ‘l faria meglio di quello che ‘l diceva. Sí ch’io concludo che i piú destri e piú leggieri uomini che siano al mondo è la progenie di costoro. Ancora sanno dipingersi, cosí maschi come femmine, le carne sue con sughi d’erbe verdi, rossi e gialli, e tengono che simili colori siano una bella divisa, faccendone oppenione come facciamo noi delle belle veste. Io Alvise fui in due di dette isole di Canaria, cioè nell’isola Gomera e nel Ferro, che sono de’ cristiani, e anche all’isola della Palma, ma in questa non dismontai per seguir il nostro viaggio.



Notevole eccezione, la barca di Pierre (un altro Pierre), un etap38, dove abbiamo scovato "Tristes tropiques", qualche testo di Albert Londres, "L'Afrique fantôme" di Leiris (o forse gliel'abbiamo dato noi).

Comunque, scusate la caduta di gusto, i gusti son gusti.

18 ago 2010

Alle Canarie

Da Agadir siamo partiti per le Canarie. Sono 220-230 miglia, siamo usciti a fine pomeriggio per arrivare con la luce, finalmente una navigata da aliseo: 15-20 nodi di vento fra bolina larga e gran lasco, la barca che va da sola, a bordo un ritmo tranquillo, le figlie hanno un po' giocato, guardato un paio di filmetti, ogni tanto mettevano il naso fuori ma non che gliene fregasse un granché di guardare le onde.
La lampadina del tricolore è saltata, abbiamo provato ad andare con le luci di via "basse" ma consumavano uno sproposito, quindi visto che non c'era traffico ho usato -orrore orrore- una di quelle luci lampeggianti dei pescatori marocchini per segnalare le reti (ne ho comprate di tutti i colori), tirata su a poppa. Fa venire un po' il mal di testa ma con una pila fa 360 ore, cosa chiedere di più...
Il pezzo non-stop più lungo che ho fatto sono 1200 miglia, ma ocn equipaggio e tanta carne da cannone, in famiglia duecento miglia/due notti sono molto più dure, di sicuro più dure che farle da solo.
Atterriamo a Graciosa, isoletta a nord di Lanzarote.
Entriamo in porto, gran gesticolare dei guardiani: come si chiama la barca? ah, non siete nella lista quindi dovete andare via.
Perdon?
SI, siccome non abbiamo prenotato non c'è posto quindi dobbiamo andare via.
Come si prenota ?
Bisogna chiamare Las Palmas e loro dicono quanti e quali giorni si possono passare in ogni porto.
Ma è sempre cosi' ? In tutti i porti delle Canarie ?
Si', bisogna fare sempre cosi', dappertutto.
Ah ok, allora andiamo all'ancora qui dietro.
Per stare all'ancora ci vuole il permesso, in genere lo danno in dieci minuti ma il tipo è in vacanza fino a fine agosto quindi non si puo' avere il permesso.
Allora possiamo ancorare lo stesso ?
No, senza permesso non si puo', e poi state attenti ad agosto fanno un sacco di controlli.

Dopo i primi dieci minuti a terra ero pronto a partire per Capo Verde, brava Daphne a calmare le cose, le bambine già stavano correndo sul pontile.
Le prenotazioni sembra si applichino solo ai porti pubblici, quindi andiamo in uno dei marina di Lanzarote, Puerto Calero, abbastanza carino, con arie da Fort Lauderdale o Cabo San Lucas, concorsi di pesca e di T-shirt bagnate, per dire il genere. Manca che salti fuori Dexter con la valigetta da analisi del sangue.


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13 ago 2010

Giù per il Marocco

L'accesso internet non è dei più semplici, luoghi spaesanti, le cime di ormeggio puzzano di pesce, la barca puzza di pesce, il pozzetto puzza di pesce. Quando piove (eh si', piove anche) la pioggia porta una sabbietta rossa adesiva, ci si mette due giorni a toglierla, quando viene voglia di pulire la barca.

Arrivo a Rabat


al pontile d'attesa visitato da ogni autorità possibile, compresa polizia con cane antidroga (con un penchat per i cereali)


L'uscita da Rabat, con la Kasbah degli Omayyat giusto sul bordo del fiumiciattolo


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Poi avvenne il miracolo




misura del miracolo

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Ormeggio in un porto monoposto, c'era solo uno spezzone di 5m di banchina in cemento, a cui si siamo attaccati

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questo l'ingresso, oltre alla carta e alle sonde completamente sballate, le migliaia di testoline di gente che faceva il bagno all'ingresso del porto, gare di nuoto a chi si agganciava prima alla "nave e vela" mentre gesticolavo "elica, elica!"

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L'interno di una cisterna costruita dai Portoghesi un sacco di secoli fa per resistere agli attacchi degli Arabi

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Ripartiamo, fra le altre tappe Essaouira

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il Branca approfitta di un angolino fra i pescherecci
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similfoto artistica
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Poi verso Agadir, un bel tappone di 80 miglia, *tutte* nella nebbia, foto fatta in un attimo di chiarore a una delle decine di barchette da pesca incrociate.

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Attorno a Capo Ghir, vento da 5 nodi a 25-27, poi di nuovo a 5 nodi, nebbia ancora più fitta, arrivo in porto assieme a tutte le barche da pesca grandi, grazie San Furuno, qualche manovra rapida a raggio ridotto ma i comandanti delle barche più grandi sono molto rispettosi delle regole, ste bestie da 20-30m appaiono ovunque e scompaiono, silenziose.
Entrata in porto solo sotto radar, visibilità 10-20m, entriamo nel marina e il guardiano di notte indica un posto dove ormeggiare, dieci metri prima di arrivarci hop bonk ci insabbiamo, è quasi bassa marea quindi niente panico pero' un po' di smotorate e ne veniamo fuori, il guardiano è imbarazzato poveretto, alla fine ci attacchiamo un po' ad un pezzo di pontile esterno, esausti. Quindici ore di radar continuo.

QUalche giorno per riposare, (e soprattutto far passare una burrasca prevista in zona), poi lasciamo il Marocco andiamo verso Graciosa, a nord di Lanzarote nelle Canarie, sono circa 230 miglia quindi 1.5 - 2 giorni.
Fatti rifare gli iniettori del motore, manutenzione preventiva non ce n'era bisogno ma almeno non ci si pensa più per altre 1000 ore; il pompista in un garage della periferia di Agadir aveva delle macchine di test e riparazione da ridere, come se uno trovasse una sala operatoria da cardiochirurgia istallata nel villaggio natale di Dersu Uzala.

Spaesamento, sentiamo tutti e quattro di essere davvero partiti.

11 ago 2010

Tanger - Asilah

Après quelques jours à Tanger, nous mettons le cap sur Asilah, navigation sans encombre. Nuage et son équipage sont maintenant de la partie, nous nous suivons et certains soirs nous partageons la même table. Les filles sont ravies, elles ont adopté Pierre comme grand père par intérim, (surtout ne rien dire à Fabio et Ennio qui risqueraient de mal le prendre….). Elles apprécient aussi beaucoup Laurence qui nous accompagne dans nos excursions à terre. En plus de sa compagnie, sa présence m’est d’une grande aide car seule dans le souk avec la poussette de Tea dans une main et Bora dans l’autre main, je manœuvre très difficilement. En fin d’après-midi, nous allons tous au hamman pour nous laver car nous sommes eux comme nous à surveiller notre consommation d’eau à bord. Il y a peu de marina au Maroc et la plupart du temps nous sommes accueillis dans des ports de pêche donc pas d’infrastructure pour les bateaux de plaisance, ni eau, ni électricité ni douches à terre. Je ressors du Hamman certes propre et avec une peau neuve mais aussi comme si j’avais été rouée de coups. En plus du gommage, j’ai pris l’option massage croyant possible un moment de relaxation. Mais une masseuse marocaine plutôt costaud et qui n’y va pas de main morte, me plaque à même le sol carrelé, sans me parler elle me plie et retourne comme une crêpe dans tous les sens. Cela aura été expéditif, mais rétrospectivement c’était mieux ainsi, ma souffrance n’en aura été que plus brève.

Après Asilah, nous poursuivons en navigation de nuit vers Rabat, qui dispose d’une marina de l’autre côté du fleuve, à Salé. Nous arrivons au matin dans le port et là il nous faut recommencer toutes les démarches d’entrée dans le pays. En effet, les autorités considèrent que voyageant en bateau nous sommes susceptibles d’arriver à chaque fois de l’étranger, rien ne prouve notre provenance si ce n’est notre parole. Nous devons donc déclarer notre présence auprès de la police, de la gendarmerie et enfin des douanes. Cette fois-ci en plus de 4 exemplaires à remplir avec les informations concernant le bateau et son équipage (avec une question récurrente et à laquelle il nous faut absolument répondre à chaque fois, la case « profession » des filles), nous avons le droit au passage du chien renifleur à bord. Un gros labrador noir et son maître en uniforme noir avec écrit police dans le dos se présentent sur le ponton et nous demande de sortir du bateau et leur laisser l’accès. Le petit souci pour le « meilleur ami des hommes » est qu’il lui faut déjà pouvoir monter à bord. En effet notre bateau est équipé de filets de protection pour limiter le risque de chute des filles. Après maintes efforts, il réussi à sauter à bord et fait son travail. Le douanier qui accompagne nous précise bien que c’est la procédure pour tout bateau entrant ou sortant du port de Rabat, donc rien contre nous, ce qui ne l’empêche pas de vérifier l’air de rien le contenu d’un tupperware de céréales et un autre de sucre disposés tout deux sur la table (donc hors de portée des narines du labrador) dans l’attente de notre petit déjeuner.

10 ago 2010

Nous sommes en Afrique

Notre premier contact avec l’Afrique se fait à Tanger. Nous sommes accueillis dans le « Royal Yacht Club » de Tanger, situé exactement en face du port de pêche. Il est constitué de 2 pontons qui accueillaient auparavant des chalutiers et reconvertis à présent en port de plaisance. L’accueil est chaleureux nous ne comptons pas les bras qui se tendent pour récupérer nos amarres et nous assister dans la manœuvre. Les démarches administratives faites, (police et douanes) nous pouvons descendre à terre et partir à la découverte de Tanger. Nous parcourons la medina avec ses petites échoppes, le marché aux poissons et aux épices, nous nous perdons dans les ruelles, tout y est encore authentique, brouillon et chaotique, mais quel charme ! En fin d’après-midi, nous retournons au port et nous découvrons un bateau compatriote, Nuage, amarré à couple à Brancaleone. Les jours suivants nous aurons l’occasion de faire plus ample connaissance avec son équipage, le capitaine Pierre 80 ans, qui a navigué un peu partout, Laurence une co-équipière qui le suit dès qu’elle en a l’occasion, et Jean Mê et Jennifer un couple de l’Ile Maurice, se construisant leur expérience maritime en vue d’acquérir un jour leur propre bateau. Nous finirons par naviguer ensemble une partie de la côté marocaine.


Toujours dans le « Royal Yacht Club » de Tanger, sur le même ponton à nos côtés sont amarrés des bateaux bien atypiques. Le premier est un énorme 2 mats, disposant sur son pont arrière d’un bar magistral, contentant de nombreuses bouteilles (et pas seulement de la limonade) au-dessus desquels sont suspendus délicatement par le pied de vrais verres. Difficile d’imaginer ce bateau prendre la mer, et pourtant il paraît que cela lui arrive. Son propriétaire, un turc, est un véritable personnage de roman : d’un âge indéterminé, grand, tatoué et avec une longue barbe blanche et une chevelure de la même couleur et toute aussi abondante. Il est accompagné de 2 petits chiens, tout blancs eux-aussi, qui vont faire la joie de Bora et Tea durant tout notre séjour à Tanger. A côté du bateau turc, un superbe yacht (24mètres), duquel on peut apercevoir quand on passe sur le ponton, une végétation verdoyante et entendre des oiseaux chantés. Quand le soleil décline, nous pouvons alors voir distinctement des volières à l’intérieur. Le bateau porte le drapeau anglais, il restera une grand énigme pour moi, nous ne verrons pas son propriétaire mais des jeunes filles viennent régulièrement à bord, peut-être pour arroser les plantes et nourrir les oiseaux….

Le lendemain, le commandant du port, un marocain discret et tout fluet mais qui sait de quoi il parle, nous demande de changer de place nos embarcations car la météo annonce du mauvais temps dans les heures à venir, vent force 6 à 7 avec rafales à 8. Le bateau de nos compatriotes tente laborieusement de manœuvrer sous les directives du commandant du port, mais sa marche arrière étant en peine il ne peut se rapprocher du ponton et reste au milieu de l’entrée du port. Nous décidons de l’aider avec des bouts à faire pivoter son bateau dans la bonne direction. Tandis que nous les installons, Laurence monte sur le bateau du Turc pour les réceptionner, ce dernier a mis la musique à fond pour chauffer de l’ambiance (comme si c’était nécessaire) et commence à lui faire la conversation en dansant. Pendant ce temps, Nuage est toujours au milieu de l’entrée du port, bloquant la sortie des bateaux de pêche, qui bien que compréhensifs commencent à s’impatienter ! Finalement après avoir concentré tous nos efforts, Nuage pivote et se glisse dans son emplacement, sous les applaudissements du Turc et les aboiements de ses chiens. C’est ensuite à notre tour de manœuvrer, beaucoup plus facilement heureusement, et de nous enfiler entre le bateau turc et Nuage, tout cela nous parait tellement surréaliste. Nous finissons au café du port avec l’équipage de Nuage pour célébrer la réussite de ces manœuvres réalisées de façon si peu conventionnelle mais au final efficaces.



9 ago 2010

Au revoir l'Europe

Voilà le grand jour arrivé, les cales du bateau sont pleines (nous avons finalement trouvé un supermarché Carrefour qui nous a livrés à bord, le grand luxe !), le bimini est finalisé après 2 jours de travail de Roberto, pièces de radio récupérées, et la nouvelle table en bois a pris la place de l’ancienne dans le cockpit. Seul manque à l’appel le colis que Jacques avait envoyé de France à notre demande. Je crains qu’il ne soit définitivement perdu, en tout cas nous ne pouvons pas différer notre départ pour l’attendre davantage, la météo des prochains jours étant a priori propice à la traversée du détroit de Gibraltar.


Nous partons de Barbate tôt le matin de façon à profiter d’un vent modéré. Le détroit est composé de 2 rails : de l’est vers l’ouest pour les bateaux sortant de la Méditerranée et entrant dans l’océan Atlantique, et un autre rail pour les bateaux allant dans le sens inverse. Ce détroit voit passer près de 100 000 bateaux par an ce qui explique la tension qui règne sur le bateau : nous nous apprêtons tout simplement à traverser l’équivalent d’une autoroute à l’heure de pointe. La traversée se déroule sans encombre, nous rencontrons peu de trafic maritime, en tout cas rien qui puisse nous effrayer. Nous laissons les côtes espagnoles et donc l’Europe derrière nous et arrivons après 25 milles de navigation (malheureusement au moteur car absence de vent) à Tanger.